Prima del convegno pomeridiano organizzato dalla fondazione Rosetti nella sala del consiglio comunale di Forlimpopoli, mi ero dato appuntamento con Michelangelo M. e Paolo B. al ristorante Anna, per pranzare e chiacchierare un po’, ai margini di un periodo autunnale molto impegnativo, che non ci ha più consentito di programmare incontri e gite allo stesso ritmo a cui eravamo abituati prima del covid. Il convegno di oggi (27.11.21) dedicato alle esposizioni universali fra Otto e Novecento ha di fatto catturato anche il tempo di questo sabato pomeriggio che avremmo volentieri dedicato ad un’escursione archeologica nel lughese. Ma è valso la pena partecipare, in segno di stima per gli organizzatori che si distinguono nel panorama delle proposte culturali romagnole. Dopo l’introduzione di Maurizio Castagnoli abbiamo ascoltato Andrea Giuntini, Mario Proli e Matteo Banzola introdurre da diverse prospettive argomenti che mostrano interessanti tangenze con il processo di modernizzazione e lo sviluppo industriale della Romagna di inizio Novecento.
Avevo dimenticato la confusione delle gite scolastiche, ma l’ho ritrovata oggi (26.11.21) a Ravenna, dove abbiamo portato in visita due classi prime della nostra scuola media. Per fortuna c’era il sole ed abbiamo potuto fare una bella passeggiata, anzi una maratona, fra i monumenti comandati del circuito turistico diocesano, fermandoci infine a mangiare all’aperto nel parco pubblico della loggetta lombardesca. La situazione si è complicata quando abbiamo saputo che saremmo dovuti rientrare in anticipo, a causa della notizia giunta in mattinata della positività al covid di una compagna di classe, che obbligava l’intera classe alla quarantena preventiva.
Da Montecoronaro, dove con Giorgia ero arrivato sabato pomeriggio, domenica (21.11.21) ho raggiunto Corciano fra persistenti foschie che gradatamente hanno ceduto il passo al cielo azzurro. Il centro storico ha la fama d’essere un borgo fra i più belli d’Italia e merita questo titolo se non altro per il panorama. Lo abbiamo trovato piuttosto deserto di domenica mattina, passeggiando su e giù per le vie concentriche che assecondano il colle con le case di pietra e le figure di un grande presepe in allestimento. La vera sorpresa, almeno per me, è stato l’antiquarium archeologico, allestito secondo un progetto moderno, arioso ed efficace, con gli straordinari ritrovamenti della necropoli di Strozzacapponi: urne scolpite e insolite urne dipinte, bronzi raffinatissimi che decoravano rari letti funebri d’età ellenistica, accanto a più consueti corredi funerari di vetri e terrecotte d’età romana. Dopo essermi attardato in questo museo fin verso mezzogiorno, ho raggiunto la moglie già a messa nella piccola parrocchiale di Corciano, nel cui presbiterio è l’assunta di Pietro Perugino, ultimo capolavoro del maestro, dai colori sgargianti, più simili alle tinte delle urne etrusche che alla coeva pittura rinascimentale. Per un pranzo veloce abbiamo scelto il ristorante “Al Convento” ricavato nelle cantine del complesso francescano (peraltro inaccessibile) alle porte del paese, trascorrendo il resto del pomeriggio nei dintorni, prima intorno alle mura di Corciano, poi in uno splendido uliveto nei pressi del santuario delle Fontanelle, infine a Monte del Lago, dove abbiamo aspettato che il sole scendesse sotto le brume precoci del lago Trasimeno.
Sulla via del ritorno abbiamo fatto sosta a Castel Rigone per vedere il santuario rinascimentale della Madonna dei Miracoli. Rientrati nella casa di Montecoronaro nel tardo pomeriggio, prima di ridiscendere a valle ci siamo fermati a mangiare una (ottima) pizza alla “Straniera”.
Tranquilli: non è un film porno, ma le grandi mostre diventano oscene quando sono troppo grandi, spocchiose e bulimiche come a Forlì, dove il mostrificio è riuscito a cancellare perfino il ricordo di musei chiusi da vent’anni. Ho volentieri preso parte alla campagna di sensibilizzazione nata intorno alla “Venere di Schiavonia”, per sollecitare la riapertura del museo archeologico di Forlì. Se volete vedermi dal vivo, un po’ fuori dalle righe, eccomi:
Venerdì (12.11.21) avevo appuntamento a pranzo con Lazzari e Valente con lo scopo di aggiornarci sulle ricerche di storia industriale che abbiamo in corso. Ci siamo incontrati a Forlì al ristorante “Le Querce” non lontano dal casello dell’autostrada e dopo pranzo ci siamo spostati verso il centro, facendo una lunga passeggiata intorno al perimetro dell’ex zuccherificio Eridania, per osservare lo stato di conservazione (e di degrado) dell’area, e per esaminare alcuni edifici di pertinenza della ex fabbrica nei pressi della recinzione, in relazione ai raccordi ferroviari che si diramavano dai binari della vecchia stazione di Forlì. Ho sollecitato Valente a mettere mano ad una storia impiantistica di questa fabbrica che è chiusa dal 1972, in modo analogo a quanto ha recentemente realizzato per lo zuccherificio di Codigoro, facendo riferimento agli inventari in suo possesso. Ci siamo salutati alle quattro e mezzo (e prima di rientrare a casa ho comprato un “nuovo” Imac da 21.5″ in offerta al Bennet di Forlimpopoli)
Nel nuovo anno scolastico che è cominciato ormai da due mesi mi sono lasciato coinvolgere dalle attività aggiuntive del “piano estate” calato dall’alto per compensare le ore di didattica a distanza dello scorso anno. Ho colto l’occasione per sperimentare 20 ore di recupero di matematica e 30 ore di potenziamento di fisica, da condurre dopo le lezioni del mattino rigorosamente entro il 30 novembre. Non sono solito parlare del lavoro che mi dà lo stipendio, ma una nota stavolta la merita il progetto di fisica, che ha coinvolto alcuni ragazzi (e ragazze davvero brave) della mia attuale terza media. Il confronto che abbiamo avuto oggi con la delegazione dei ragazzi Erasmus dei paesi dell’Unione coinvolti in un progetto di scambio con la nostra scuola mi ha fatto ricordare (se me lo fossi dimenticato) che l’eccezionalità del nostro progetto di fisica rappresenta la normalità nelle scuole medie d’oltralpe, dove la fisica può essere scelta fin dalla seconda media all’interno di un curricolo flessibile. Comunque siamo riusciti a dare colore e a rendere interessanti, anche per chi li conosceva già, argomenti che di solito appesantiscono lo studio dei giovani, disegnando grafici di quattro esperimenti statici e dinamici che hanno come protagonista l’accelerazione di gravità. Abbiamo imparato a riconoscere relazioni lineari (fra massa e peso, fra massa e forza di distacco in presenza di attrito) e relazioni non lineari (tempo di caduta da diverse altezze, forza parallela ad un piano al variare dell’inclinazione). Finiremo di discutere i risultati durante la prossima settimana, ma terminate le 30 ore sarà difficile dare seguito a questa normalità europea nel nostro normale orario del mattino.
Stavo per perdere un’occasione irripetibile: la mostra dedicata alle croci dipinte di Giovanni da Rimini, allestita dalla Fondazione Cassa di Risparmio nella propria sede di Corso d’Augusto, aperta fino al 7 novembre. Il restauro della croce di Mercatello ha fornito il pretesto, più che legittimo, per questa esposizione di sicuro valore scientifico. In un’unica grande sala simile agli ambienti di certi musei americani si fronteggiavano quattro opere riferite al grande nome della pittura trecentesca, rendendo possibile raffronti non solo delle forme esteriori, ma della consistenza materica, del colore e dei piccoli dettagli su cui si tende a sorvolare nelle sedi in cui le croci sono normalmente collocate. Le correnti della pittura trecentesca si incrociano nel pennello di questo autore, da forme solenni quasi classicheggianti, a movenze più discorsive e ad estese campiture che assecondano lo stile giottesco. Nel gioco delle attribuzioni ci sarebbe comunque da discutere sul concetto di autorialità, soprattutto in relazione alla croce di Talamello e all’altra (con evidenti ridipinture) proveniente da una collezione inglese.
Sabato nel primissimo pomeriggio (6.11.21) mi sono fermato ad osservarle per quasi un’ora in compagnia dell’amico Alessandro B., “ritrovato” dopo una lunga convalescenza. Con lui mi sono poi diretto a Sant’Agostino: nel coro di questa chiesa abbiamo proseguito il viaggio nella pittura trecentesca riminese, con gli occhi ormai allenati a riconoscere i pennelli di questa affascinante bottega, dove sarebbe pretenzioso distinguere le mani dei singoli. Nel bookshop della mostra avevo acquistato un paio di libri scontati per l’occasione: Il catalogo “L’oro di Giovanni” e il “Pietro da Rimini” di A.Volpe. Quante parole (molte delle quali inutili) si sono sedimentate sul fenomeno pittorico riminese del Trecento! Siamo tornati verso casa in treno, alle cinque e mezzo.
La mattina del primo novembre (2021) sono partito con Giorgia da Montecoronaro alla volta del Monte Amiata, sotto un cielo nuvoloso che annunciava pioggia. Lasciata la val tiberina prima di Perugia, abbiamo lambito il versante orientale del lago Trasimeno, arrivando poco prima di mezzogiorno a Città della Pieve, dove abbiamo fatto sosta per un caffé e per una rapida visita del centro storico, a cominciare dalle opere d’arte del Perugino nella Cattedrale. Ripartiti sotto scrosci di pioggia abbiamo raggiunto San Casciano dei Bagni, per un’altra passeggiata di grande interesse in un piccolo centro storico di indubbio pregio (con opere d’arte minori ma significative nelle piccole chiese), notando in particolare la mostra archeologica del santuario romano all’ingresso del comune. Dopo aver pranzato con una ribollita in un bar claustrofobico che ha allarmato il mio istinto anti covid, abbiamo ripreso l’auto diretti al B&B “Il Biancospino” di Abbadia Salvatore sotto una pioggia insistente che ci ha accompagnato tutto il pomeriggio fino a sera, quando siamo usciti per cenare con affettati e ottimi primi nella vicina trattoria “Cantinone”. Abbiamo dedicato la giornata successiva ad un giro panoramico fra il Monte Amiata e la Val D’Orcia, finalmente senza pioggia, sotto un cielo movimentato di nuvole e sole. Di mattina siamo andati subito alla ricerca delle sorgenti termali dei Bagni di San Filippo, fangosi e affollati, senza il benché minimo servizio turistico, ma coi parcheggi a pagamento lungo la borgata deserta. Alle undici e mezzo eravamo a San Quirico d’Orcia, divenuto anch’esso borgo di charme, per una passeggiata fra la Collegiata romanica, la pieve e gli Orti Leonini, indimenticabile giardino all’italiana incastonato fra la piazza e le mura antiche.
Dopo una sosta a Bagno Vignoni, affollato come Venezia e come Venezia vittima delle contaminazioni d’arte contemporanea, siamo fuggiti a Castiglion D’Orcia alla ricerca di un bar tranquillo, senza la passerella dei calici a palloncino e dei vini pregiati. Qui abbiamo ritrovato lo spirito della Val D’Orcia simile a quello di trent’anni fa, forse l’ultimo afflato, prima della morte degli ultimi anziani che lo tengono ancora in vita. Al bar abbiamo mangiato ottime bruschette, con un bicchiere di amaro Amiatino. Luminosissimi panorami hanno fatto da sfondo alla silenziosa passeggiata nel borgo dopo aver mangiato.
Ancor più intatto di Castiglion d’Orcia, abbiamo trovato il paese di Seggiano, dove siamo giunti verso le tre e mezzo, con la sorpresa di belle opere nelle piccole chiese del borgo. Ai piedi della collina il santuario della Madonna della Carità ha catturato lo sguardo con le forme slanciate dell’alta cupola manierista di tegole rosse, a sezione quadrata: una sorpresa architettonica, col seguito affascinante di un pane miracoloso (di castagne?) donato dalla madonna agli abitanti di questa montagna al termine di una carestia. Su un tappeto di foglie rosse abbiamo risalito la via fin quasi in vetta all’Amiata, arrivando ad Abbadia San Salvatore al crepuscolo. La sera del 2 novembre abbiamo cenato a Piancastagnaio, nell’eccellente ristorante Anna, dove fra le altre cose ci siamo fatti servire zuppa di funghi e castagne e un ottimo “peposo”. Prima di rientrare abbiamo fatto un rapido tour by night nel centro storico di Abbadia, ancora più suggestivo di come lo ricordavo. Richiamato dagli impegni scolastici del tardo pomeriggio, la mattina seguente (3.11.21) siamo tornati a casa dopo una lunga sosta nelle vasche termali Theia di Chianciano e dopo una pizza al volo nel ristorante Giamaica, annesso al dancing Bussola fra Chianciano e l’autostrada, quasi un santuario relitto degli anni Ottanta.
Ho seguito le sessioni di questo settantaduesimo convegno di Studi Romagnoli a Sogliano prima di intervenire domenica pomeriggio con la “mia” industria del sorgo ai tempi della seconda guerra mondiale. È stato un momento di sintesi, di nuovo conviviale dopo l’isolamento del Covid, che mi ha fatto apprezzare la parola “convegno” nel suo significato più autentico, un impegno messo finalmente in relazione con una comunità scientifica. Al termine io e Giorgia ci siamo trattenuti per i saluti di rito con la Morigi, Cerasoli e Claudio Riva, prima di prendere la strada appenninica della valle del Savio, diretti a Bagno di Romagna, dove a cena avevamo appuntamento con Paola e Bruno nel clima festoso dei mercatini di Ognissanti. Dopo esserci trattenuti a lungo al “Cenacolo” siamo andati a pernottare nella casa di Montecoronaro.