Stavo per perdere un’occasione irripetibile: la mostra dedicata alle croci dipinte di Giovanni da Rimini, allestita dalla Fondazione Cassa di Risparmio nella propria sede di Corso d’Augusto, aperta fino al 7 novembre. Il restauro della croce di Mercatello ha fornito il pretesto, più che legittimo, per questa esposizione di sicuro valore scientifico. In un’unica grande sala simile agli ambienti di certi musei americani si fronteggiavano quattro opere riferite al grande nome della pittura trecentesca, rendendo possibile raffronti non solo delle forme esteriori, ma della consistenza materica, del colore e dei piccoli dettagli su cui si tende a sorvolare nelle sedi in cui le croci sono normalmente collocate. Le correnti della pittura trecentesca si incrociano nel pennello di questo autore, da forme solenni quasi classicheggianti, a movenze più discorsive e ad estese campiture che assecondano lo stile giottesco. Nel gioco delle attribuzioni ci sarebbe comunque da discutere sul concetto di autorialità, soprattutto in relazione alla croce di Talamello e all’altra (con evidenti ridipinture) proveniente da una collezione inglese.
Sabato nel primissimo pomeriggio (6.11.21) mi sono fermato ad osservarle per quasi un’ora in compagnia dell’amico Alessandro B., “ritrovato” dopo una lunga convalescenza. Con lui mi sono poi diretto a Sant’Agostino: nel coro di questa chiesa abbiamo proseguito il viaggio nella pittura trecentesca riminese, con gli occhi ormai allenati a riconoscere i pennelli di questa affascinante bottega, dove sarebbe pretenzioso distinguere le mani dei singoli. Nel bookshop della mostra avevo acquistato un paio di libri scontati per l’occasione: Il catalogo “L’oro di Giovanni” e il “Pietro da Rimini” di A.Volpe. Quante parole (molte delle quali inutili) si sono sedimentate sul fenomeno pittorico riminese del Trecento! Siamo tornati verso casa in treno, alle cinque e mezzo.