Le giornate europee del patrimonio hanno occupato i giorni dello scorso fine settimana, ma anziché aderire a qualche tour organizzato, necessariamente a numero chiuso, quest’anno mi sono dedicato ad una singolare “azione” messa in campo sabato pomeriggio (25.9.21) dalla sezione forlivese di Italia Nostra, insieme ai giovani Pasqui e Marincola, impegnati in una campagna di sensibilizzazione “social” per il museo archeologico di Forlì, che è chiuso da venticinque anni. Nel cortile rinascimentale di palazzo Numai abbiamo registrato alcuni monologhi in compagnia della cosiddetta Venere di Schiavonia, riproduzione di una celebre testa marmorea d’età romana, tornata alla ribalta come testimonial del gruppo facebook “Pro Museo Santarelli di Forlì. Ci siamo poi attardati per parlare delle attività culturali del prossimo autunno, che metteranno finalmente al centro dell’interesse della sezione forlivese di Italia Nostra, fin troppo agguerrita su mille questioni, il destino dei musei archeologici del territorio. La mattina successiva (26.9.21) ho raggiunto Michelangelo M. a Cesena, sullo scavo della fornace tardo rinascimentale venuta alla luce nei lavori di ampliamento della clinica “Malatesta Novello”. Nel lungo intervallo di tempo fra due visite guidate dalla soprintendente abbiamo avuto tempo di intrattenerci per capire la struttura ed il funzionamento di questa fornace di laterizi, che nella seconda metà del Cinquecento aveva già i tratti dell’opificio protoindustriale, con un’organizzazione razionale del lavoro che trascendeva l’estro artigianale del singolo operatore.
Alla fine dell’estate ci siamo concessi almeno un week end formato famiglia. Al termine delle occupazioni estive e prima che gli impegni di studio diventassero pressanti, ci siamo diretti poco lontano da casa, in un paesaggio collinare sufficientemente lontano da fornire l’alibi di una vacanza, dove comunque potevamo scorgere da dietro la quinta familiare delle montagne del Montefeltro, con le tre rocche di San Marino lontane in una prospettiva ribaltata. Sabato (18.09.21) siamo arrivati subito dopo pranzo nell’elegante B&B con piscina “Le quattro Civette” nei pressi di Monteguiduccio, fra la valle del fiume Foglia e la valle del Metauro, dove persistono antichi borghi riuniti in municipalità diffuse in un’area comunque vasta ma ben tenuta, con boschi e campi coltivati, in un profilo collinare ondulato e verde. Da lì in automobile abbiamo attraversato le colline più alte che separano le due valli (la cima intorno ai 550 metri è indicata come monte San Bartolo nella cartografia, ma chi gestisce il B&B dice di non aver mai chiamato quella montagna per nome) raggiungendo il Santuario del Beato Sante e Mombaroccio, dove abbiamo passeggiato fra gatti e zanzare dopo uno spuntino pomeridiano al bar, senza impegno.
Di ritorno attraverso l’alto colle di Santa Maria in Monte abbiamo scorto il grattacielo di Rimini a nord sul litorale, riuscendo perfino ad intravedere quello di Cesenatico ancora più lontano. Di sera ci siamo diretti nell’agriturismo Villa Rosa nei pressi di Monteguiduccio, cenando con alcuni piatti eccellenti (ottima la fiorentina) in un ambiente semplice ed elegante, tanto da far sembrare l’entroterra pesarese davvero esemplare per equilibrio, qualità e compostezza dell’offerta turistica. La mattina dopo siamo partiti tardi dalla valle dove avevamo dormito come in un microcosmo che non ha bisogno d’altro, scendendo al piccolo centro di Isola del Piano, meno significativo di quanto potesse sembrare leggendo la vecchia guida TCI. Siamo poi arrivati a Fossombrone per la passeggiata di mezzogiorno, che ci ha fatto attraversare prima lo splendido corso (isola pedonale di grande pregio fra due quinte di facciate antiche, monumentali a tratti) poi le scalinate che conducono al palazzo della Corte alta e più su alla torre dell’orologio. Tornati nel corso, abbiamo pranzato con un gelato da “Otello” sotto il portico dell’antico Monte di pietà e poi in macchina ci siamo diretti sui tornanti dei Cappuccini, nel versante opposto, fino al convento che sovrasta dall’alto la valle di Fossombrone. Di ritorno abbiamo cercato anche il convento dell’Annunziata nei pressi del cimitero, ben più monumentale del precedente, ma in condizioni di degrado allarmante, proseguendo poi verso Sant’Ippolito, paese degli scalpellini, animato da semplici sculture di pietra nelle facciate delle abitazioni, mentre il tempo cominciava ad incupire.
Fra le gocce di un imminente temporale siamo infine giunti a Fano, dove abbiamo trascorso il resto del pomeriggio a piedi nel centro storico, scoprendo il patrono San Paterniano nella chiesa che porta questo nome, dirigendoci poi in duomo per la messa delle 17 e 30, sotto le sculture romaniche del pulpito accanto alla cappella Nolfi, visitando infine la pinacoteca dell’ex chiesa di San Domenico ancora aperta alle sette di sera per un concorso di clarinetto. Cena con pizza da Bruno a Bellaria, prima di rientrare.
Ho trascorso il pomeriggio di venerdì (10.9.21) in compagnia di Lazzari e Valente lungo in Po di Volano, per una ricognizione dei vecchi insediamenti industriali di Migliaro e di Migliarino. Giunti in auto da Ravenna abbiamo incontrato Valente davanti ai cancelli dell’ex zuccherificio-distilleria di Migliarino, dove non è possibile accedere, ma dove ci siamo fermati comunque a lungo, esplorando le campagne circostanti. Ci siamo poi spostati alla ex distilleria di Migliaro, ora fabbrica di mangimi, dove è stato possibile entrare per vedere anche internamente le interessanti strutture di quella che fu una delle prime distillerie italiane di barbabietole, costruita nel 1912 ed ampliata negli anni ’30, quando divenne un centro di produzione di alcool carburante (e dove venne sperimentata la lavorazione del sorgo zuccherino per conto di Eridania). Abbiamo fatto infine tappa a Tresigallo, fermandoci a cena nei dintorni, in una trattoria deserta che sarebbe dovuta essere anche pizzeria, con un’unica cameriera polacca dallo sguardo triste e canzonatorio. Abbiamo cenato con affettati e primi, trattenendoci a parlare delle nostre ricerche industriali fin verso le nove e mezza.
Sabato (4.9.21) ho trovato finalmente l’occasione per assistere ad un concerto di musica classica dal vivo, al festival di Città di Castello, dove avevo l’abitudine di andare una decina d’anni fa, ma dove non mettevo piede da molto tempo. Ho ascoltato il quartetto norvegese Engegaard.nella grande sala della chiesa di san Domenico attrezzata con un palco piuttosto invadente, che non risolveva del tutto l’impasto acustico di un luogo più adatto alla musica corale che alle finezze del quartetto d’archi. Avrebbe funzionato meglio una musik Kammersaal, ma almeno stavolta ci siamo accontentati, tanto per ritrovare il gusto di un concerto dal vivo, con un pubblico attento e rarefatto a causa delle regole anticovid. Il programma ha messo in scena Haydn (op.75 n.3), Schumann (op.41 n.3) e brani della tradizione popolare scandinava arrangiati per quartetto d’archi di J.S. Svendsen e S.Lillebjerka. Arrivando a Città di Castello con Paolo B. in largo anticipo sul concerto, nel tardo pomeriggio abbiamo fatto un’escursione nei dintorni, salendo in auto nella bella valle dell’eremo di Buon riposo e facendo una passeggiata nel parco della Montesca. Prima di mangiare un pessimo hamburger nel ristorante “Pizzoteca” (dove una volta c’era l’enoteca altotiberina) ci siamo imbattuti nel salone del libro antico, a palazzo Vitelli di Sant’Egidio, un po’ in disarmo.